I dodici discepoli di Gesù non aspettano nemmeno la morte di Gesù per azzannarsi per l’eredità spirituale e politica del maestro e, come se non bastassero la vanità e l’ambizione dei dodici, per creare divisione e scompiglio ci si mette di mezzo pure l’avidità delle madri e dei familiari. Avidità e competizione, sete di potere e gloria umana non abbandoneranno mai il gruppo dei dodici, nemmeno nella futura discendenza apostolica. Fin dai suoi primi giorni di vita, profonde divisioni ideologiche, laceranti separazioni teologiche, pesanti contrasti morali, radicate scissioni politiche, hanno accompagnato e segnato il cammino della chiesa. Gesù conosce perfettamente come funzionano il cuore e la mente dell’uomo e come siano tra loro collegati non soltanto da tessuti e nervi, ma anche dallo spirito e dal dialogo interiore. Gesù sa che noi non vediamo mai le cose per quello che esse sono ma per come noi siamo. Noi non vediamo, non percepiamo, non comprendiamo né pensiamo la realtà per com’è realmente, ma a seconda di come noi siamo e come stiamo dentro, a seconda del nostro stato mentale ed emotivo.
Pur conoscendo questo meccanismo mentale, che disconnette completamente l’uomo dalla realtà, Gesù ha affidato la chiesa proprio a questi uomini e a queste donne che, per come stanno interiormente, sono terribilmente assetati di prestigio, culto dell’immagine, successo, plauso, pigrizia, potere e ricchezza. Gesù ha chiesto ai suoi discepoli di partire comunque per l’avventura della chiesa. Perché?
Perché Gesù desiderava che proprio in questo processo, in questa millenaria avventura individuale e comunitaria della chiesa, sotto la potenza e la luce dello Spirito Paraclito, gli ambiziosi e i vanitosi figli di Dio avessero piano piano, ma inesorabilmente, l’occasione di cambiare dentro, di guarire dentro per essere a servizio del mondo con tutto il cuore. Se Gesù avesse dovuto affidare la chiesa a uomini e donne strutturati, maturi, moralmente ineccepibili, guariti interiormente da ogni ferita psicologica ed emotività distorta, sciolti da ogni ambizione, vanità, gelosia avrebbe dovuto affidare la sua chiesa agli angeli, non a noi. Se i neonati dovessero nascere da genitori perfetti e competenti, quando e da chi dovrebbero nascere? Se due amanti dovessero scegliersi e vivere insieme solo quando tutto, loro compresi, è nella perfezione, chi potrebbe amare qualcun altro e soprattutto quando? Se tutti i cuccioli animali della terra dovessero nascere solo se fossero già in grado di affrontare tutto perfettamente e le condizioni ambientali fossero sempre perfette, chi potrebbe nascere?
Gesù non affida la chiesa a dei figli perfetti, ma affida all’imperfetta chiesa, alla storia malsana della chiesa, di perfezionare lentamente tra le braccia del Paraclito i suoi figli fino all’amore senza ambizione, alla compassione senza vanità, al servizio senza sete di successo. Gesù con questa visione delle cose non giustifica né scusa il male provocato dall’ambizione umana, ma lo distende entro un processo di liberazione e di salvezza per tutti. A noi non è chiaro, ma a Gesù è chiarissimo che noi non vediamo mai le cose come sono ma le vediamo per come siamo e dunque tutto il processo di evoluzione è riuscire a cambiare questo come siamo secondo le procedure del vangelo e la luce dello Spirito. Questo è un processo lento, lentissimo a volte, ma inesorabile, ed è il senso stesso della vita. Questo meraviglioso processo di cambiamento, offerto a tutti dalla dolcissima misericordia di Dio, è rallentato certo dai peccati dell’uomo, dalle sue ambizioni e vanità, ma è interrotto bruscamente e devastato dai processi di giudizio e di condanna che, in questo percorso di salvezza, gli uomini celebrano gli uni contro gli altri, invece che celebrare la misericordia di Dio.