È un’evidenza. La vita, in tutto il creato, da miliardi di anni, si prende cura perfettamente e prontamente di tutto e di ogni cosa, e regola, muove, organizza e sostiene, rigorosamente e con precisione l’esistenza di tutti gli esseri viventi. L’uomo che si attacca alle cose e alle persone, per paura che gli venga a mancare qualcosa o qualcuno, non conosce e non vive questa evidenza. Con il suo orientamento mentale, l’uomo che diventa possessivo rispetto a cose e persone nega questa evidenza, rinnega la perfezione della vita, maledice la perfezione con cui la vita si prende cura di tutto ciò che esiste, sfida l’organizzazione delle energie cosmiche, si pone in aperta rivolta con la vita stessa. È un’evidenza. Colui che vive di attaccamento e possessività dimostra non solo che non si fida affatto della vita, della sua organizzazione perfetta, ma attesta che si sente così scollegato dall’esistenza, che ritiene indispensabile, per la propria sopravvivenza, separarsi dall’organizzazione e dalla perfezione cosmica del sistema della vita, per organizzare per se stesso una forma distinta di garanzia, assicurazione, protezione e sicurezza.
Quando un uomo si attacca alle cose e alle persone è unicamente perché sospetta della vita, dubita dell’esistenza, non riconosce la perfezione e l’armonia del creato e della vita. Per questo si sconnette dalla propria dimensione spirituale, si scollega dalla propria intelligenza e lacera intimamente tutto il proprio sistema neuro-psico-emotivo, diventando un uomo fragile, pauroso, incerto, dipendente, ignorante, pigro, conflittuale, aggressivo. L’uomo che sospetta della vita, che non si fida della perfezione dell’esistenza, del modo in cui l’esistenza ha cura di tutto e di ogni cosa, è costretto a trovare le proprie sicurezze in ogni forma di attaccamento a cose e a persone, e questo genera inevitabilmente in lui lo stato spirituale della separazione, lo stato psichico della sospensione, lo stato fisico della tensione. È questa necessità di attaccarsi e di possedere che rende l’uomo immediatamente dipendente, e che, con il tempo, lo rende stupido, e, nel lungo periodo, pazzo. Ogni forma di attaccamento e possessività avvelena il dialogo interiore con ogni tipo di sospetto, dubbio, preoccupazione, e aumenta drasticamente la sete di controllo e dominio, generando ogni forma di invidia, gelosia, aggressività e violenza. Ogni forma di attaccamento e possesso è un atto di separazione dalla vita e da Dio. È un’evidenza. Chi crede nella vita e in Dio non ha bisogno di possedere nulla e di attaccarsi a nessuno e, al tempo stesso, chi desidera credere nella vita e in Dio non può possedere nulla né attaccarsi a nessuno.
Gesù dice: chi non rinuncia [greco: apotàsso, “dire ciao ciao”] a tutti i beni, non può essere mio discepolo. Il verbo greco apotàsso, usato in questo versetto del vangelo, significa proprio salutare, rinunciare, abbandonare, dire addio a una persona o a una cosa, separarsi. Gesù pone addirittura il “dire ciao ciao” ai propri beni – che in greco sono espressi con il termine ypàrchonta, i “possessi” – come la condizione essenziale e imprescindibile per poterlo seguire. Chi desidera unirsi a Gesù e al vangelo deve separarsi dai possessi. Perché Gesù è così drastico? Perché chi possiede i possessi, si separa ed è separato dalla vita e da Dio, e chi si separa dai possessi, si unisce ed è unito alla vita e a Dio. I possessi di cui parla Gesù non solo sono nell’ordine delle cose, ma anche e soprattutto nell’ordine degli affetti, delle relazioni umane, infatti precisa ulteriormente: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Ti prego Signore Gesù,
nella mia vita fai tutto,
fai sempre, fai tu.